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Sabatino PARTENZA


Elenco Articoli

Aringo e il ritorno di Sant'Antonio
Nostalgia di Aringroup
Aringo e la storia di Andrew
La "ncamata"
Miracolo nella Parrocchia Santissimo Salvatore
Ciao Mamma
L'asenu e lu porcu
La festa di Luigi
La TV buttata dalla finestra
Lu Carbonaru
Lu lebbre e la lumaca
Siamo tutti "Muntrialesi"
"do stea na vota la chiesetta"
avvenimento storico
La sala musica
I conti non tornano mai!
lu paccu de Natale
Come lu porcu a dicembre
Tempo da lupi
"Sfilatino" e la giustizia
Il coraggio di Agostino
Quella P finale
Un autunno avaro
Il gambero
Colazione dalle sette alle nove
Quando c'era la scuola
Sei anni dopo
Trenta aringari sul barcone
"Do so iti quilli tempi"
Sorprese d'estate
A dormì co nonna
"La panonta"
La pensione
Le nozze co li fugni
La staccionata
La frittata di pasqua
Le nozze d'oro
Tinte di giallo
Non si apprezza il bene se non è perduto!


Aringo e il ritorno di Sant'Antonio
Della vecchia festa che per anni è stata un po' dimenticata ricordo, che nel mese di Gennaio si portavano fuori tutti gli animali e il prete li benediceva. Sono sincero, della "paniccia" non avevo un ricordo nitido.
Immaginavo fosse un piatto povero e particolare perché a quei tempi la paniccia si mangiava all'alba e a quell'ora i bambini non è molto bello farli alzare.
Comunque ad Aringo da un paio di anni si è riscoperta questa tradizione e la cosa è molto apprezzata e allora mi sembra doveroso ringraziare gli artefici principali.
Carlo, Gabriella, Ivana, Lena, Lorenzo, Luciana e mi scuso se ho dimenticato qualcuno, sono insieme all'associazione Aringo Club il motore di questa e tantissime altre iniziative che danno lustro al nostro paese. Con un menù luculliano a base di paniccia, panonta, zampitti e dolci vari si è festeggiato in maniera degna il nostro sant'Antonio.
Ancora una volta Aringo risponde in maniera importante e la speranza che l'anno prossimo ci sia una presenza ancora maggiore aiuta tutti a lavorare sempre nella collaborazione.
La considerazione più importante è che in questi tempi di perdita di valori e di tradizioni si inizia a invertire una tendenza che sembrava inarrestabile. Chissà che piano piano non si riesca a capire che alla fine la cultura contadina e semplice di una volta probabilmente era migliore del nostro tran-tran quotidiano.
Come diceva un vecchio saggio le idee e le tradizioni camminano necessariamente con le gambe delle persone e allora lunga vita a coloro che si caricano sulle spalle questo dolce fardello da tramandare a quelli che verranno.
Gennaio 2010

ARINGO: nostalgia di Aringroup
Anche quassù in montagna si sta uscendo faticosamente dalla stagione invernale e ci si proietta con l'immaginazione alla prossima stagione estiva. Si sente forte il bisogno di riaccendere la nostra estate con qualcosa di forte a livello emotivo che faccia dimenticare l'estate duemilanove,anzi l'intero anno passato per le note vicende che hanno interessato il nostro territorio aquilano. Si deve ripartire con uno spirito nuovo e nonostante i tempi non siano dei migliori dobbiamo risvegliare i sopiti entusiasmi. Io non mi stanco mai di ripeterlo ma penso che in tempo di crisi non c'è niente di più saggio che rifugiarsi nei nostri vecchi paeselli e riscoprire le piccole grandi cose di una volta. Per i viaggi esotici aspettiamo tempi migliori.
Allora noi ad Aringo abbiamo una possibilità e una risorsa unica: l'Aringroup. Negli anni passati hanno creato un entusiasmo e un coinvolgimento senza precedenti sia in paese ma anche in tutto il territorio limitrofo riportando in primo piano tutte le tradizioni, le storie, le vicende e soprattutto il dialetto che con il passare delle generazioni rischiavano di essere dimenticati. Si paventava una romanizzazione totale. E allora io mi permetto di esortare l'amico Fabio D'Amico (anche il gioco di parole gli rende onore) a riprendere in mano quei "discolacci" dell'Aringroup per poter almeno per una serata rivederci insieme a tutti gli appassionati e riascoltare l'Ottavaru e tutte le altre stupende canzoni. So che le difficoltà di chi fa le cose a "remissione" sono a volte insormontabili e so anche che il lavoro e gli impegni che ci travolgono sempre di più non lasciano il tempo per fare quello che vorremmo, però a volte è necessario staccare la spina per dedicarsi un po' allo spirito. Sono sicuro che questo appello non cadrà nel vuoto. Rivivere per un giorno le emozioni che legano tutti noi al passato dei nostri nonni e anche nostro è qualcosa a cui non possiamo e non dobbiamo rinunciare. Dico questo non perché si debba vivere di soli ricordi o di nostalgie, che è una cosa sbagliata, ma lo dico perché dal nostro passato si possa trarre la forza e il coraggio per affrontare un futuro che sembra molto nebuloso e cosparso di difficoltà.
Aprile 2010

Aringo e la storia di Andrew
A giugno 2010 c'è un appuntamento molto importante ed atteso in tutto il mondo sportivo e non. Si svolgeranno i mondiali di calcio per la prima volta in un paese africano e precisamente in Sudafrica un paese lontanissimo e quasi sconosciuto dalle nostre parti. Una svolta epocale e che potrebbe essere lo spartiacque verso uno sviluppo più equilibrato e globale nel vero senso della parola.
Vi chiederete cosa possa "azzeccarci" il lontano Sudafrica con il nostro piccolo Aringo, ed invece c'è una storia che mio padre mi ha raccontato più volte, con molto trasporto e con molta ammirazione verso quel prigioniero sudafricano che capitò in tempo di guerra (parliamo della seconda guerra mondiale), e che penso valga la pena di ricordare
Lo chiamavano Andrea in paese, ed era entrato in simpatia quasi a tutti.
Penso soprattutto alle ragazze per il fisicaccio e l'aspetto esotico di chi viene da lontano evocando sogni ed aspirazioni reconditi, ma anche ai ragazzini come mio padre che ne apprezzavano le capacità atletiche, la scaltrezza nell'uso delle armi soprattutto quelle più conosciute a quei tempi tipo l'accetta o i coltelli. I tedeschi però non ne avevano la stessa considerazione, anzi lo braccavano considerandolo elemento assai pericoloso da eliminare al più presto.
Una spiata (purtroppo anche e soprattutto a quei tempi le gole profonde erano presenti) permise ai tedeschi di tendergli una trappola, ma lui scappò verso via della Forconia. Sembrava ce l'avesse fatta, ma il salto di una recinzione gli fu fatale per un filo spinato che lo agganciò ad una gamba permettendo a due tedeschi di raggiungerlo e catturarlo. Mentre lo riportavano strattonandolo verso l'ufficiale, questi con la pistola spianata lo minacciava dicendo che gli avrebbe sparato in fronte. E quei ragazzini, forzatamente già grandi, (tra cui mio padre) vivevano quella scena che noi oggi vediamo nei film (loro di certo non lo conoscevano) in cui il buono camminava con il braccio a copertura della fronte e per cercare di prevenire le mosse del suo carnefice. E chissà cosa avrebbero dato per fermare quella mano omicida e salvare il loro eroe. Ma il cattivo era cattivo per davvero e sparò con rabbia verso la fronte di Andrea colpendo quel braccio sollevato, provò a sparare un un'altro colpo ma la pistola si inceppò. E allora tutte le doti atletiche di Andrea furono messe alla prova in una corsa disperata verso la libertà e la vita e penso che anche il tifo di quei ragazzi abbia potuto deviare tutte le pallottole che i tedeschi gli spararono alle spalle. Dopo varie peripezie che mio padre conosce e che mi farò raccontare, riuscì a salvarsi e a tornare in Sudafrica.
Per i ragazzi di Aringo era l'eroe della loro giovinezza e l'emblema di una libertà agognata e finalmente trovata. Andrea è tornato una trentina di anni fa con la moglie a trovare mio padre e gli altri ex ragazzi, l'episodio che ricordava con maggiore affetto e simpatia era quando molto affamato mangiò tanta ricotta e siero caldo e ridendo diceva che gli aveva creato molti più problemi di cento tedeschi (intestinali naturalmente)!
Giugno 2010

La "ncamata"
A quelli come noi, cioè a quelli che io orgogliosamente chiamo "de paese", piace scandire il tempo con le incombenze del lavoro agricolo e con le scadenze che ci dava la natura. E quindi ogni periodo dell'anno volenti o nolenti ti dava delle cose da fare e non potevi farne a meno. Di questo periodo qui da noi, chiaramente in ritardo con la pianura, era il tempo della mietitura e ci sarebbe da scrivere per ore per raccontare tutta l'odissea che si affrontava da quando "serricchiu" alla mano si andava a "mete" e si facevano "li Manocchi" e poi si faceva la "cavalletta" e poi si portava all'ara il grano e si faceva la "mucchia". E poi quando arrivava la trebbia era quasi una festa.
Una festa di fatica, polvere e sudore ma la soddisfazione della conta dei sacchi di grano ripagava ampiamente di tutto il lavoro fatto. Ma io oggi non voglio parlare della grande importanza che aveva il grano nell'economia agricola del tempo passato ma di un prodotto della trebbiatura che sicuramente molti non conoscono e che adesso non esiste più:la cama. La cama era quella parte molto polverosa che si separava dalla paglia durante la trebbiatura e che veniva raccolta con dei lenzuoli e stipata per l'inverno per "appagliare" i vitellini o altri animali che nascevano in inverno. Questo è quello che normalmente accadeva, ma c'era un uso di quella cama che era sicuramente stupefacente. Quando all'Aringo c'era un matrimonio la mattina della cerimonia per le vie del paese immancabilmente si vedeva una striscia di quella benedetta, anzi maledetta cama, che si snodava dalla casa di uno o di tutti e due gli sposi e andava a toccare la casa di qualcuno che ben sapeva il significato della "ncamata". Quel qualcuno era il lasciato o la lasciata di turno.
Era un onta e una vergogna indicibile e allora si vedevano affannarsi con le scope parenti ed amici degli "ncamati" per far sparire quella striscia di disonore. E comunque quell'argomento dominava la giornata e le successive ed era motivo di divertimento e di sfottò. Adesso queste storielle di paese quelli che hanno studiato le chiamano gossip, e ci sono non so quanti giornali specializzati che raccontano tutte le corna vere o presunte di tutti i cretini famosi di questo mondo senza cama. Meglio così, oggi penso sarebbe molto ma molto difficile trovare la cama per raccontare tutte le storie perverse di cui quasi tutti facciamo parte.
Agosto 2010

Miracolo nella Parrocchia Santissimo Salvatore
E', finalmente terminata l'opera di restauro della Chiesa Parrocchiale del Santissimo Salvatore di Aringo.
Dopo i lavori di consolidamento e messa in sicurezza, a seguito del sisma dell'aprile 2009, effettuati dalla protezione civile unitamente alla Soprintendenza dei Beni Culturali, si è verificato il vero "miracolo"!
Si è messa in moto, con la supervisione del Parroco don Serafino Loiacono, una macchina organizzativa per i lavori di ripristino effettivo della Chiesa, durati alcuni mesi. Tutto il popolo di Aringo ha contribuito alla realizzazione di questa opera con risultati veramente eccezionali. Si è decisa l'esecuzione di alcune migliorie interne in muratura che hanno portato alla luce una meravigliosa zoccolatura di pietre "a vista" nonché alcune nicchie con affreschi ed un tabernacolo in pietra, di cui si ignorava completamente l'esistenza,pare risalente ad alcuni secoli fa. Molti altri lavori di abbellimento sono stati effettuati così che questa chiesa sembra del tutto diversa e sicuramente molto più bella! merito di tutto questo va, come detto prima, alla generosa collaborazione degli Aringari che, nell'occasione, oltre ad aver donato volontariamente denaro per far fronte ai pagamenti dei maggiori lavori eseguiti e del materiale acquistato, si sono improvvisati pittori, falegnami, elettricisti, restauratori, arredatori, trasportatori ecc.
In particolare non si può non ricordare le persone che maggiormente, sacrificando il proprio tempo, si sono assunte l'onere di coordinare e realizzare di fatto i lavori. Fino a questo punto sono stato un fedele copiatore di quello che gentilmente hanno esposto Lena ed Alberto Di Giammarco. Però vorrei dire un fortissimo grazie oltre ai già citati Alberto e Lena a Luciana, Delia Ivana, Lorenzo, Cecilia, Nadia, Bruno, Lucia, Maria Teresa, Pietro, Gabriella, Francesca, Berardo, Vittorio sperando di non aver dimenticato alcuno.
In un periodo dove di miracoli non se ne vedono troppi ancora una volta Aringo si è distinto e il "miracolo" e avvenuto. Siamo sicuri che ne avverranno ancora degli altri.
E qui devo scomodare nonna mia che diceva in casi come questi: "chi ha fattu stu bene ne pozza fa tantu atru ancora".
Settembre 2010

Ciao Mamma
I miei (pochi) lettori questa volta mi perdoneranno se uso la loro pazienza per parlare di una vicenda mia personale. Sicuramente nella mia vita non avrei mai voluto scrivere questo pezzo, e mi sono arrovellato molto la coscienza per capire se fosse o no il caso di farlo. A volte quando mi capita di essere un po' giù di corda e mi ritornano in mente le persone e le cose che non ci sono più vorrei scrivere una lettera ad un amico che ci ha lasciato prematuramente, per potergli dire tutte le cose che non sono riuscito a dire quando forse avrei potuto farlo. Ma poi ci ripenso e non lo faccio mai perché sicuramente andrei a cadere nella retorica e otterrei il risultato di sembrare un vecchio melanconico ed ipocondriaco.
Questa volta però non posso esimermi da scrivere un saluto e un dialogo con mia madre che è ritornata ad abbracciare una parte dei suoi affetti più cari. I suoi genitori, i suoi quattro fratelli ,sua sorella e tutti gli altri a cui lei aveva voluto bene. Vorrei dire tante di quelle cose che non me ne viene in mente neanche una.
Vorrei chiedere scusa per tutte le volte che voleva da me un sorriso o una parola ed io preso dai mille stupidi problemi di questo mondo sono sfuggito. Vorrei, vorrei, vorrei..
E mi viene in mente un vecchio adagio che diceva così: "quanno potia non volli, mo che vorria non posso". E allora è inutile farsi prendere dai rimorsi e dalle nostalgie ma invece dobbiamo portare con noi le cose belle di coloro che se ne vanno prima di noi e trasmetterle a quelli che vengono. Mamma diceva: "chi ha la mamma non piange mai" e io non capivo. Adesso capisco e credo che tutte le frasi e i consigli che le nostre mamme ci danno o ci hanno dato sono un bagaglio grande e meraviglioso che ci spinge verso il futuro. Con la mamma se ne va un pezzo di noi il pezzo più bello: la pazienza, la tolleranza e il perdono. Dico solo queste tre cose ma ne potremmo dire mille. Ma la pazienza con cui ci hanno fatto crescere, la tolleranza di tutte le cose storte che gli abbiamo fatto e il perdono totale per qualsiasi cosa un figlio possa fare sono racchiuse nella parola mamma.Quando se se ne va una mamma di Aringo o di qualsiasi altro posto del mondo tutti in piedi e battiamo le mani sperando che dal posto dove si trovano ci guardino e ci sorridano sempre e ci diano la forza per continuare ad affrontare questo mondaccio boia!
Voglio poi ringraziare di cuore i tantissimi che hanno manifestato la loro solidarietà e il loro affetto.
Ottobre 2010

L'asenu e lu porcu
Molto spesso mi viene da parlare di questo animale che è diventato assai raro. Il somaro sta scomparendo ma non a caso, perché la cultura della fatica e del duro lavoro si è pensato che appartenesse a degli uomini poco intelligenti provenienti da un passato da dimenticare. E allora se una volta c'erano molti somari e pochi maiali adesso paradossalmente abbiamo pochissimi asini e una quantità industriale di porci. E allora mi viene in mente una storiella che porta in se una metafora molto profonda che fotografa in maniera molto calzante il mondo di oggi. La si raccontava ad Aringo negli anni passati ma penso che sia patrimonio di tanti paesi e molte comunità.
In una delle tante stalle del paese come ogni sera rientravano gli animali che avevano passato la giornata in campagna. Tra questi il povero asinello che era quello che più di tutti non vedeva l'ora di potersi riposare un po'. Al rientro oltre a trovare una cena non proprio ideale e cioè la "mesticanza" fatta quasi tutta di paglia e un po' di fieno trovava il grasso maiale bello spaparanzato e satollo (chiaramente come un porco). Mentre il povero animale si accingeva silenziosamente a sgranocchiare quel pasto assai sgradevole, quell'altro in maniera beffarda e strafottente lo apostrofava con frasi assai offensive. Ma non lo vedi come ti trattano: ti sgridano, ti mettono lu mastu, ti caricano la soma, ti bastonano, ti dicono un sacco di parolacce, ma che vita è la tua? A me invece portano da mangiare in abbondanza, mi trattano bene e non mi fanno lavorare mai, questa si che è vita! Il povero asino scrollava le spalle e continuava a masticare senza dare troppa importanza a quelle parole, ma il maiale insisteva nel suo insultare e farsi beffa e ridere delle disgrazie dell'altro. Fino a che il povero asinello avendo esaurito la sua pazienza smetteva di mangiare e voltandosi verso quel l'interlocutore così maleducato gli disse: caro amico sicuramente tu hai perfettamente ragione, però adesso che ti sto guardando bene tu non mi sembri "quillu dell'anno scorsu"!
Novembre 2010

La festa di Luigi
Quando ci si sente profondamente appartenenti ad una terra, e soprattutto ad un paese o ad un piccolo centro come il nostro secondo me si è delle persone speciali. Non migliori o peggiori di altre ma semplicemente speciali. Una di queste è sicuramente Luigi Polidori figlio dell'Aringo di una volta di quell'Aringo più vero e che spesso si ripropone all'attenzione di tutti. Ha voluto festeggiare in pieno inverno la sua festa insieme a tutti i paesani alla casa del prete che per un giorno è diventata centro di una comunità che non disdegna mai la voglia di ritrovarsi. Era per me doveroso scrivere queste poche righe perché essendo Luigi uno dei più fedeli lettori delle vicende di Aringo, meritava la menzione per una sua bella iniziativa. Una volta mi ha detto: certo è difficile raccontare di una piccola realtà dove succede poco o niente? E io gli ho risposto che ogni parte del nostro mondo ha sempre delle cose da raccontare a volte brutte ma vivaddio anche di belle. Come al solito il gruppo di lavoro che si occupa della parte organizzativa ha svolto magnificamente il compito con un pranzo veramente ottimo. Non mi stanco mai di ricordare gli amici Ivana, Gabriella, Cecilia, Lorenzo, Carlo e tutti quelli che hanno dato una mano. Molto gradita la presenza di don Serafino che si é esibito anche in declamazione poetica di cui è maestro. Poi la piacevole presenza di ospiti provenienti da località diverse e in particolare addirittura dal Veneto. E poi voglio dire una cosa per me molto importante: quando vedo qualcuno che si emoziona mi sento molto legato a quella persona. Non mi piacciono quelli che non si emozionano mai! E in effetti gli osservatori più attenti hanno potuto vedere gli occhi lucidi e lo sguardo emozionato di Luigi nel ricevere i vari regali e le testimonianze di affetto e vicinanza di parenti ed amici. E poi in tempi come questi dove trovare momenti di serenità e di allegria è sempre molto difficile noi quassù all'Aringo, nonostante un anno in cui sono venute a mancare diverse persone care e dove forse le notizie cattive hanno prevalso sulle buone, guardiamo il nostro bicchiere mezzo pieno e brindiamo ad un nuovo anno che possa essere migliore. Anche se non dimentico mai una battuta che è sempre in voga: "lo peggio vè sempre appressu".
Dicembre 2010

La TV buttata dalla finestra
Mi ricordo abbastanza bene nei primi anni sessanta quando dalle nostre parti iniziò ad apparire quello strumento meraviglioso e diabolico che si chiama televisione. Chiaramente in ritardo rispetto alla realtà delle città ma qui da noi da sempre ci si è abituati ad aspettare il così detto progresso (molte volte abbiamo atteso invano, ma così vanno le cose della vita) e infatti la TV ebbe i natali già negli anni cinquanta. In quei tempi ad Aringo, ricordano i più anziani, il primo a scoprire e a comperare un televisore fu "sor Celeste" che era senz'altro quello tra i paesani il più all'avanguardia ed anche colui che come si diceva una volta "se la passava meglio". Immagino che problemi di antenne e di ricezione avrà avuto, ma fatto sta che la sera almeno i "capi famiglia" andavano alla villa della "sora Pasqua" (che era la moglie del sor Celeste) a guardare questa scatola magica che iniziava a tirare fuori i suoi primi e forse genuini programmi che appassionavano e già allora rivoluzionavano le serate. A proposito della villa in questione mi rattrista un po' la visione del degrado in cui versa dopo aver conosciuto antico splendore. Ma tutto questo fa parte del ciclo di come gira il mondo e dovrebbe far capire che spesso a tanto benessere può subentrare anche un periodo meno bello. Mi scuso della divagazione e continuo quel racconto in cui i miei ricordi si fanno più nitidi. E infatti quando il prete (don Giovanni Vacca), mise a disposizione una stanzetta che poi alla meglio fu allestita con una stufa a legna e alcune sedie, un po tutti noi anche i più piccoli si poteva andare alle cinque di pomeriggio (allora iniziavano le trasmissioni) a vedere la nonna del corsaro nero e altri piccoli programmi che sinceramente non ricordo. E quello è il periodo della televisione che mi è rimasto nel cuore perché era momento di aggregazione di spensieratezza ed era la scoperta di un mondo nuovo che prometteva grandi sogni. Poi la televisione come tutti sappiamo è entrata piano piano violentemente in tutte le nostre case e i risultati li possiamo, pur con diverse opinioni, analizzare e non possiamo non riconoscere che ormai è la TV (insieme ad altri mezzi di comunicazione) che detta le regole e fa la cultura delle persone. Ed allora mi viene in mente il vecchio Tullio che io ritengo sia stato ad Aringo un filosofo di strada e un precursore di quello che poi è inesorabilmente avvenuto. Ed in particolare un episodio che sa anche un po di leggenda, quando una sera stufo di sentire imperversare la televisione sul dialogo e sui rapporti sociali in famiglia prese quella scatola malefica e la gettò dalla finestra. Il povero Tullio pensò di essersi liberato per sempre dalla schiavitù mediatica. Spero ardentemente che almeno lui ci sia riuscito.
Gennaio 2011

Lu Carbonaru
Della carboneria e dei carbonari penso che tutti noi, chi più chi meno, hanno i ricordi scolastici relativi alla nostra storia d'Italia. A quelle riunioni segrete e a quegli uomini dobbiamo un ricordo affettuoso e un grazie di cuore perché iniziò li la liberazione della nostra terra e la successiva unificazione in una nazione. A proposito facciamo una bella festa per i centocinquanta anni dell'unità d'Italia alla faccia di coloro che la vorrebbero di nuovo dividere dimenticando tutti coloro che hanno dato la loro vita per quel nobile fine. E io dico sempre che non si deve mai dimenticare da dove si è venuti perché la memoria di tutto ciò che si è conquistato e a quale prezzo è un patrimonio da tramandare per non far ripetere errori madornali alle future generazioni. Nulla di tutto ciò che abbiamo è scontato ma va riconquistato giorno per giorno soprattutto la libertà e la democrazia. Qualcuno si chiederà cosa ci entri tutto ciò con Aringo e io che sono a volte uno che è rimasto nel passato ho sognato "li carbonari" quelli che ho conosciuto o di cui ho sentito parlare e mi piacerebbe che anche i vecchi carbonari nostrani avessero dato un contributo alla storia d'Italia. Certo quelli che io ho visto erano tutti neri di carbone con i panni laceri e mezzi bruciacchiati e la pelle aggrinzita e vi devo dire di tutto cuore che non avevano la faccia da eroi. Però facevano un mestiere anzi io mi azzardo a chiamarla un'arte che è finita nel dimenticatoio come tante altri mestieri e riferendomi a quello che dicevo sulla memoria dimenticare tutti i mestieri di una volta credo sia un errore. Perdonatemi io sono colpevolmente rimasto nel passato per davvero. Però vedere costruire una "carbonera", con tutta la legna messa in piedi in maniera circolare fino a formare un tronco di cono e poi ricoprirla di zolle e accenderla e poi aprire dei buchi in maniera che la combustione avvenisse in quel modo e solo in quello non sarà come una puntata del "grande fratello" ma forse a qualcuno potrebbe interessare. E poi stare li per giorni in mezzo al bosco in un capannello di ginestre a controllare, a caricare il carbone con i sacchi e a costruirne un'altra di carbonera sperduti in mezzo ai boschi più lontani dai paesi non doveva essere un grandissimo divertimento. Mi sarebbe piaciuto parlare col mitico "Paolo Chiappa", uno degli ultimi carbonari per avere da lui una spiegazione della scelta di quel mestiere. Quello che so io è che parlando con una persona a me assai cara, un giorno mentre mi raccontava la sua storia da giovane emigrato a Roma, mi disse con grande orgoglio che frustrato dalla vita balorda della metropoli buttò tutto all'aria per tornarsene a fare "lu carbonaru".
Febbraio 2011

Lu lebbre e la lumaca
Nella vita di tutti noi avvengono giornalmente dei fatti e delle situazioni che ci colgono di sorpresa e ci sembrano delle cose mai verificate e completamente nuove. Vedere che il mondo va in una certa direzione e verificare giornalmente che lo spazio per i più furbi è sempre disponibile e ampio è ormai diventata una cosa normale. Gli anormali sembrano quelli che vorrebbero che la società premiasse il merito e i comportamenti sani e corretti. I fatti degli ultimi tempi danno una dimostrazione lampante di come chi sa prendere delle scorciatoie giuste arriva molto prima e a mete insperate. Alla gente comune si da in pasto l'illusione che si debba premiare esclusivamente la capacità e l'impegno e se ne fa una cavallo di battaglia vincente e poi sotto sotto si lavora nella maniera di sempre, anzi peggio di sempre.
E allora più passa il tempo e più mi convinco che c'è ben poco da inventare a questo mondo e con il grosso rischio di sembrare monotono e ripetitivo mi sembra opportuno per i pochi che non la conoscono e per chi non la ricorda, raccontare questa storiella che da sempre gira nei nostri paesi ed anche ad Aringo. Innanzi tutto ci tengo a sottolineare che noi la lepre, che è un nome femminile, la facciamo diventare un animale maschile "lu lebbre" e questo non piacerà a tutti ma il dialetto è dialetto e non possiamo farci niente. Questo povero animale costretto a correre e pure a correre molto forte per salvare la pellaccia dall'attacco di predatori vari tra cui (come ti sbagli) l'uomo, è sinonimo di velocità e sveltezza. Come sappiamo tutti invece la lumaca è il prototipo della flemma e della lentezza. Nonostante questo si racconta che un giorno in paese si accese una sfida impossibile tra i due animali: una corsa dal paese al valico che porta verso il lago di Campotosto che è un percorso molto bello e panoramico ma è tutta salita. La lepre nella sua ingenuità era straconvinta di fare una passeggiata mentre la lumaca assai più furba trovava l'accordo con una sua compagna che viveva di solito su al valico. Partita la corsa con quattro salti la lepre giunse su al valico ma sul traguardo trovò la falsa lumaca che con fare strafottente si dichiarava vincitrice della gara. La povera bestiola molto sorpresa accetto quella sconfitta e avvicinandosi alla viscida interlocutrice gli disse: la sfida io sicuramente l'ho persa, ma tu non hai di certo la faccia da corridore! A volte mi lascio trasportare dal sogno di vedere tutti noi al posto e nel ruolo che meritiamo e vedo una società più equa e più funzionale ma al risveglio trovo sempre qualche lumaca che arriva prima "dellu lebbre".
Marzo 2011

Siamo tutti "Muntrialesi"
Di solito me la cavo con una storiella, probabilmente anche banale, che cerca di collegare le vicende del passato con gli avvenimenti che si succedono in maniera vorticosa e travolgente nell'attualità. La speranza è sempre quella che anche una piccola storia possa toccare una piccola parte del nostro cuore e magari ci faccia riflettere e pensare. Questa volta voglio fare il temerario e affrontare un argomento che dalle nostre parti scotta ed è difficile soluzione. Si è appena spenta l'eco della festa dei 150 anni di Italia unita e si è riscoperto finalmente un attaccamento all'appartenenza nazionale e al chiamarsi italiani. Noi quassù dall'Aringo vogliamo lanciare un appello forte ed accorato verso il nostro territorio comunale: perché non proviamo almeno per una volta a sentirci tutti appartenenti ad un unico territorio ed uniti per lo stesso fine? E perché non possiamo chiamarci tutti Monterealesi? Nel titolo ho voluto usare quel termine dialettale che viene usato nelle frazioni, a bella posta, perché in quel la parola si legge un qualcosa di poco benevolo che sa un po' di disprezzo. Cosa che viene da un passato legato a rivalità ed incomprensioni che non hanno alcun senso di esistere. Se guardiamo nei comuni confinanti e parliamo con un cittadino di Sivignano quello si dichiarerà orgogliosamente di Capitignano, e così per uno di Vallemare si dichiarerà Borbontino, e uno di Scai Amatriciano e uno di San Pellino Cagnanese ecc. ecc. Se invece andiamo nelle nostre frazioni è rimasto molto forte l'attaccamento frazionistico che si dimostra alla prova dei fatti sempre più deleterio. Non è dividendo le poche forze che si può cercare una soluzione all'inesorabile impoverimento delle nostre zone. È un errore irreparabile da parte delle frazioni più grandi e popolate pensare di avere una propria autonomia e una propria forza e non guardarsi intorno. Ultimamente il nostro territorio sta avendo grossi problemi anche a causa di un vuoto amministrativo, però io sono convinto che le forze per rialzare la testa ci sono e vanno messe in campo. Noi qui ad Aringo abbiamo dimostrato da sempre una grande attenzione per le cose comuni.
Sono convinto che se vanno bene le cose di tutti andranno ancora più bene gli affari personali di ognuno di noi. Guardare solo al proprio orticello è una cosa molto in voga ma non porta lontano. E allora è tempo che Muntriale diventi una volta per tutte Montereale.
Aprile 2011

"do stea na vota la chiesetta"
Ci sono delle cose , almeno per quanto mi riguarda, che si vorrebbe non fossero successe oppure che noi non ne avessimo fatto parte. Però nella nostra vita di errori ne commettiamo tutti, magari c'è chi se ne accorge e chi no, ma riconoscerlo penso sia una prova di intelligenza. Ad Aringo una di queste fesserie di cui pentirsi, forse l'abbiamo commessa in quegli anni settanta e ottanta, con l'abbattimento della chiesetta che stava a "capularingu" e anche e soprattutto della fontana. Erano due costruzioni antiche, considerate erroneamente di scarso valore, e che stavano in una posizione (questo non mi è difficile da ammettere) che creava una strettoia alquanto scomoda per il traffico, a quel tempo in forte incremento, di autotreni e mezzi pesanti in genere. Fu una decisione presa un po' troppo allegramente ma per quegli anni tutto ciò che appariva vecchio andava buttato o imbiancato o verniciato.
Per riparare in parte a quello scempio fu deciso di fare un piccolo monumento ai caduti intorno alla lapide con i nomi dei nostri morti in guerra. Quella lapide stava attaccata alla facciata della chiesetta e mi ricordo ancora bene il giorno della festa quando occorreva la scala per posizionare la corona. Fu fatto quel monumento e negli anni è andato via via a deteriorarsi finchè come al solito ad Aringo ci si è decisi di intervenire (come di consuetudine in maniera autonoma) e grazie alla associazione Pro Aringo del presidente Fabio Sciacca e alla collaborazione dell'artigiano Roberto e di altri volontari si è ristrutturato. E secondo il mio parere e anche secondo il parere dei più si è fatto veramente un bel lavoro. E soprattutto nell'anno del nostro centocinquantesimo compleanno dell'unità d'Italia era necessario dare un segnale forte anche ad Aringo. Non dobbiamo stancarci mai di ricordare quelli che hanno dato la vita per un ideale e per la propria Patria. Soprattutto in tempi come questi dove non si è disponibili a nessun tipo di sacrificio. Comunque quando passo davanti al monumento tutto rinnovato e anche illuminato di notte sono contento, però il ricordo di quello che c'era e oggi non c'è più rimane forte e struggente e per me quel posto rimane "do stea na vota la chiesetta".
Maggio 2011

avvenimento storico
Quando si usa questo aggettivo così importante, e spesso lo si fa con disinvoltura, si deve essere effettivamente di fronte ad un qualcosa di particolare che non accade tutti i giorni. E certamente questo qualcosa di eccezionalmente importante è successo ad Aringo in seguito alle ultime elezioni comunali. Possiamo tranquillamente scomodare la storia per raccontare che una cittadina di Aringo è stata brillantemente eletta nel consiglio comunale di Montereale. L'ultima volta che ciò è accaduto dovrebbe (uso il condizionale, perché la cosa è molto imprecisa e un po' controversa) risalire ai primi anni sessanta quando si narra che fu eletto il mitico Tullio Cicchetti ma la cosa non ebbe effetti rilevanti da tramandare ai posteri. La storia stavolta sarà sicuramente positiva perché Francesca Dioletta (questo è il nome della neoeletta) saprà dare effettivamente un contributo importante per le sorti sia del comune di Montereale sia per il nostro paese. Queste elezioni sono state veramente una esperienza nuova per il territorio monterealese in quanto si sono viste in campo diverse energie e sono scesi in campo, come si usa dire negli ultimi anni, anche persone di elevato spessore sociale. Tutto questo non può che far piacere a chi vuole bene ai nostri paesi. Comunque per tornare all'argomento che più ci interessa e cioè all'elezione di Francesca, che tra l'altro è una giovane studentessa universitaria, noi aringari non possiamo che essere orgogliosi e contenti di questo evento così raro e sinceramente anche inaspettato. Sono sicuro che come sempre Aringo si metterà al lavoro per collaborare con Francesca e i gli altri neoeletti, come ha sempre fatto nel passato. Ora dopo la festa per la nuova amministrazione ci sarà sicuramente da lavorare sodo per cercare di portare avanti un comune assai complicato e difficile. Sono sicuro che i nuovi eletti essendo quasi totalmente nuovi dalle beghe politiche e avendo certamente come bagaglio l'entusiasmo della gioventù e la voglia di lavorare per il proprio territorio sapranno dare il meglio. La cosa insolita è che paesi che quasi mai avevano avuto un rappresentante in comune questa volta si sono presi una piccola rivincita. Anche perché bisogna tener presente la diminuzione del numero dei consiglieri. Ma la considerazione che posso trarre da ciò che è accaduto è che quando dopo un lungo inverno si rivede un po' di sole e si spalancano le finestre quella ventata di aria fresca che entra ci fa sentire un po' meglio.
Giugno 2011

La sala musica
"Dove c'è musica c'è vita e dove c'è la vita ci deve essere la musica",questa è la frase che io ho sentito pronunciare da un appassionato e stimato musicista e che mi sento di apprezzare e di condividere in maniera totale. Poi ognuno, a seconda della propria cultura, delle proprie tradizioni e dell'età , ha le sue passioni musicali che spesso si rispecchiano anche con il territorio e la latitudine. Sappiamo benissimo che anche il clima influenza in maniera determinante il genere musicale. Da sempre l'uomo si è fatto affascinare dal suono di uno strumento musicale, e questo è avvenuto anche "all'Aringo" a tal punto che non posso non raccontare un aneddoto che molto simpaticamente fa capire fino a che punto può arrivare la passione. Si racconta che una madre un po' in avanti con gli anni un giorno chiamò il suo unico figlio e lo pregò di andare a Montereale, in comune, ad acquistare un loculo cimiteriale. Il buon figliolo prese quei soldi che la madre gli aveva così amorevolmente dato e si avviò a compiere quella lugubre commissione, ma per strada, (pur non essendo la via di Damasco) fu fulminato dalla sua passione per l'organetto e se andò a Castelfidardo a comperarsene uno dei migliori. Poi ci sono e ci sono sempre stati coloro che pensano (soprattutto nei periodi di crisi) che la cultura e anche la musica non si mangiano e anche quelli hanno diritto di cittadinanza. E mi viene da sorridere quando ripenso al ritornello che in maniera un po' beffarda rivolgo ai miei amici cacciatori, pescatori e musicisti. Non l'ho inventato io, l'ho sentito dai vecchi e spero nessuno si offenda ma il detto fa più o meno così:" cacciatori di terra, pescatori di acqua dolce e suonatori di ciaramelle fanno le case poverelle". Nonostante questa mia divagazione un po' controversa il fatto vero è che "all'Aringo" abbiamo una sala musica di livello professionale e ancora una volta lo gridiamo forte e con orgoglio. Tutta la cronistoria la racconta Fabio, che con gli amici dell'ARINGROUP, ci ha fatto vivere un bel periodo e ha regalato al paese e a tutti una struttura veramente importante. Ad Aringo forse non avremo mai il cantante di grido che in un'oretta si porta via un bel malloppo ma speriamo di avere in futuro dei piccoli cantanti e dei ragazzi appassionati alla musica che anche se rischieranno di costruire delle case un pochino poverelle (ma non per colpa di certo della musica) almeno le faranno allegre e piene di vita. In ogni caso diciamo ancora una volta grazie a tutti coloro che hanno partecipato e sempre partecipano a queste grandi iniziative. Aringo vi vuole bene.
Settembre 2011

I conti non tornano mai!
Proprio in un momento come questo, dove ogni giorno e qualsiasi occasione sono quelli giusti per doverci preoccupare dei conti e dei bilanci sia personali che generali, mi torna alla memoria una vecchia storia del mio paese. Questa storia fa capire che in fondo in fondo queste problematiche sono e saranno sempre all'ordine del giorno delle persone. Oggi nel tanto decantato mondo tecnologico del progresso e della illusoria conoscenza e del dominio di tanti problemi, sembra che tutti questi fenomeni dell'economia e della finanza siano scesi dalla luna e si siano accorti che siamo nei guai. Penso che anche la mia povera nonna che non sapeva neanche cosa fosse la scuola avrebbe capito che se uno vive in mezzo ai debiti senza mai preoccuparsi di pagarli o almeno ridurli buona fine non fa di certo. E allora è scontato che nella nostra esistenza c'è di sicuro un momento in cui qualcuno ci presenta il conto e quel momento non è facile da affrontare. Quindi la storia di Marietta e silvano che si può ricondurre a una operetta tragicomica rappresenta uno spaccato di vita e si può riproporre in qualsiasi epoca. In quei tempi non lontanissimi ad Aringo, come penso in tantissimi paesi , si conduceva una vita contadina dove forse la moneta era una cosa rara e si usava il baratto come metodo di pagamento. Si faceva la "spesa" (se la vogliamo chiamare così) comprando quelle pochissime cose che si cominciavano ad affacciare sul mercato, tipo "n'etto de conserva", "n'quartu d'ogliu" ecc. e c'era il fatidico quaderno dove si segnava il tutto e poi si pagava ognuno come poteva.
Silvano e Marietta avrebbero dovuto pagare dando un cambio un maiale che loro allevavano. Quando arrivò Natale e il momento di fare i conti Silvano che non era un fenomeno della matematica pregò sua moglie, considerandola più esperta, di andare a fare quella sgradevole "masciata", ma ella adducendo la ragione che doveva essere dell'uomo quell'incombenza lo convinse ad andare. E lui partì sapendo in cuor suo che fare i conti con quel bottegaio molto scaltro non sarebbe stato uno scherzo. Tornò a casa e Marietta si affrettò ad interrogarlo sull'esito della trattativa, ma Silvano sconsolato gli disse che la sua preoccupazione era fondata e che se fosse andata lei, che coi conti ci sapeva fare, forse sarebbe stato meglio. Perché raccontò Silvano il bottegaio aprendo il quadernone impolverato prese carta e penna e inziò: scrivo tre e porto quattro, scrivo cinque e riporto sette, insomma tra "scrivo, porto e riporto mo vanne mpo là e porteje quill'atru porcu". Insomma un maiale solo non sarebbe bastato e dovendo privarsi anche dell'altro per Silvano e Marietta l'inverno si presentava molto duro. E quando anche a noi ci diranno di portare "quill'atru porcu" come lo affronteremo l'inverno?
Ottobre 2011

lu paccu de Natale
Ci stiamo avviando verso l'inverno meteorologico, quello che comincia il ventuno dicembre, e quest'anno è inutile tenere la testa sotto la sabbia come fanno gli struzzi, ci aspetta un inverno un pochino più freddo del solito. Le cose non vanno certamente per il verso giusto e in tutti noi, nel profondo del nostro animo si sta accumulando un po' di preoccupazione ed amarezza. Tanto quei signori, profumatamente pagati e con privilegi a non finire, che dovrebbero occuparsi dei problemi di tutti continuano a giocare con il fuoco e tutto fanno meno che l'interesse di noi popolo imbrogliato e disorientato. E allora siccome il Natale arriva in ogni caso e almeno questo valore non ce lo toglierà nessuno penso sia opportuno prepararsi a questa festa in maniera nuova e forse anche più bella. Chi mi conosce sa che non mi sono mai riconosciuto in questo mondo un po' falso e dai valori annacquati da ipocrisie e da illusionisti. E allora ancora una volta rovistando dentro un cassettino della mia memoria " aringara" cerco di tirarmi su di morale ripensando a quei Natali di quando eravamo bambini. Chi si ricorda di quando la corriera era uno dei pochi mezzi di comunicazione nei nostri paesi? Da noi ad Aringo passava la Sota che una volta al giorno andava a Roma e la sera ritornava dopo un viaggio che dire avventuroso è dire poco. E quando si avvicinava il Natale davanti all'ufficio postale, che era il punto di fermata della corriera, si adunava una piccola folla che con pazienza e con speranza attendeva di essere chiamata dal mitico autista "Cipolla". Quella chiamata significava che era arrivato "lu paccu de Natale" e allora si correva a casa di gran carriera ad aprire e scartare quell'attesissimo regalo. Quel pacco era un pensiero dei parenti emigrati nella città eterna e che a costo anche di un notevole sforzo economico mandavano al paese a coloro che erano rimasti per lo più anziani e bambini.
Se ripenso al contenuto di quel pacco mi viene ora da sorridere, oltre al panettone e al torrone bianco e al cioccolato c'erano le arance e i mandarini poi l'uvetta secca e i datteri e altre cose che ora non ricordo. Immagino se adesso regalassimo ai nostri bambini cose di questo genere come verrebbero accolte. Invece allora per noi quel pacco significava che la festa si poteva celebrare davvero. Quanto tempo è passato era forse meglio allora così ingenui ma sicuramente felici oppure adesso che pensiamo di essere molto scaltri e furbi ma eternamente scontenti?
Novembre 2011

Come lu porcu a dicembre
Quando arrivava l'inverno, quello vero, all'Aringo ci si preparava a compiere quella operazione un po' barbara dell'uccisione dei maiali. Era veramente un rito, (che probabilmente può far rabbrividire quelli che pensano che i salami e i prosciutti stanno al supermercato e quindi che motivo ci sarebbe a spargere del sangue), che si aspettava con grande impazienza e si trasformava immancabilmente in festa. C'era l'addetto a far bollire "lu callaru" e poi colui che doveva entrare nella stalla e legare la povera bestia, e poi quelli forti che si apprestavano a buttare l'animale sulla "tina" e a reggerlo in attesa che il norcino di turno gli affondasse un coltellaccio nella gola. E quegli strilli acuti che si diffondevano agghiaccianti per tutto il paese. E la "commare" a raccogliere quel sangue che poi veniva mangiato a pranzo. E gli sfottò mentre si buttava l'acqua bollente per la pelatura e i bambini a pelare la coda per iniziarli a quel rito così divertente ma che turbava gli animi più sensibili. E poi la "padellaccia", la "panonta", "lu picone" annaffiati da abbondante vino fatto in casa e contornati da battute, barzellette, ricordi di un ruggente passato e perché no qualche rima di canto a braccio. Tutto questo mi riporta come in un sogno a tempi che ricordo con piacere, ma siccome la realtà è più forte del sogno, ed è una realtà non proprio bellissima, tengo bene a mente una frase che diceva nonna quando qualcuno gli chiedeva come stesse. Lei pensava un pochino e poi con la sua immensa autoironia rispondeva : "sto più o meno come lu porcu a dicembre".
Nonna sentiva la sua precarietà', dovuta alla sua età avanzata, ma soprattutto era consapevole che a questo mondo chi pensa di essere immortale o insostituibile deve sapere che arriva sempre un dicembre per tutti. Poi quando andando a scuola mi sono imbattuto nei poeti del primo novecento , i cosiddetti ermetici, e nella fattispecie in Ungaretti con la sua famosissima poesia sono rimasto un po' sorpreso. Con quella espressione "si sta come d'autunno sugli alberi le foglie" riferita alla condizione dei soldati in una fase della guerra, il grande poeta aveva spiegato come meglio non si potesse la condizione umana di quel momento e forse la condizione umana in generale. E certamente nonna che non conosceva né Ungaretti e nemmeno la poesia, ma conosceva come andava e va il mondo, con la sua frase "ermetica" mandava un segnale che si dovrebbe sempre tenere in considerazione. Però se è vero che c'è sempre in agguato un Dicembre, se lo si supera poi di solito arriva la primavera.
Dicembre 2011

Tempo da lupi
Quando il capofamiglia rincasava ad Aringo, nelle giornate invernali, quelle giornate in cui il vento e la bufera infilano la neve "dentru li pagliari", infreddolito e incorniciato di bianco dalla tormenta, si avvicinava con entusiasmo al focaraccio acceso ed esclamava: ragazzi è un tempo da lupi! E allora noi ragazzini andavamo nel posto più gradito della nostra casa, quello in cui ci si sente protetti e al calduccio, ad immaginare e a sognare quella notte che incombeva e ci metteva assai timore. E poi a fantasticare sul lupo di cui i nostri anziani ci raccontavano le più fantastiche ed immaginarie storie. Ognuno di loro in qualche modo aveva avuto un incontro con il lupo (chi per davvero altri inventando parecchio) e le storie che raccontavano ci facevano rabbrividire assai più del freddo gelido dell'inverno. E poi anche la bella favola di Cappuccetto Rosso ce lo ha fatto diventare cattivo ed antipatico questo animale così fiero, così scaltro ed agile ma anche feroce. E poi la lotta dei pastori per salvaguardare il gregge e gli altri animali domestici e quindi la caccia spietata fino alla scomparsa totale della specie. E infatti per molti anni noi il lupo non lo abbiamo mai visto, anzi io non lo avevo visto mai. Ma allora chi ha costruito questo mondo e ci aveva messo pure il lupo aveva sbagliato tutto? Se è stato messo doveva avere un ruolo importante, come tutti quelli che stanno su questa terra, e quindi penso sia ragionevole che sia stato reinserito. E allora pure io che non lo avevo mai visto l'altro giorno a "Basciani"vicino al bivio di Santa Lucia, in mezzo al prato, ho notato questa figura così inquietante e di una eleganza inimitabile. Appena mi ha visto si è girato nel suo modo inconfondibile con il corpo fermo e muovendo solo la testa, mi ha guardato e con molta calma si è dileguato nel bosco. Sinceramente devo dire di non avere avuto paura, anzi quell'animale così misterioso mi ha creato una grande curiosità e mi resta la certezza che alle persone non farà del male. Certamente se abbiamo gli animali domestici gli dobbiamo stare attento, ma questo a prescindere dal lupo. E quindi è ritornato il "tempo da lupi" che dicevano gli anziani di allora? E si, mi sa che quel tempaccio è arrivato davvero, ma i lupi non sono di certo quelli a quattro zampe e ancora un po' impauriti (perché rimessi in circolazione da poco) ma stanno in giacca e cravatta, e la bufera non è quella della neve e dell'inverno ma quella della finanza e dell'imbroglio.
Gennaio 2012

"Sfilatino" e la giustizia
Del mio paese, oltre ai luoghi e agli episodi accaduti nel tempo, mi sono rimaste nella mente molto nitide le immagini delle persone che per me, anzi per tanti, sono i personaggi indimenticabili. Chiaramente la visione mia di bambino prima e ragazzo poi può essere un po' distante dalla realtà, io però preferisco tenermi quei ricordi e quelle sensazioni così come sono. Uno di questi personaggi, di cui penso di aver già avuto modo di parlare per altre vicende si chiamava "Sfilatino" e sinceramente non conosco il motivo di quel soprannome e mai ho avuto la curiosità di saperlo. A me i soprannomi vanno bene così come sono. Di solito colui che li metteva ci prendeva sempre. Era emigrato a Roma come tanti , ma era rimasto attaccato in maniera indissolubile al paese e mi ricordo che appena aveva un giorno libero tornava di corsa all'Aringo. Diceva in maniera scanzonata e spassosa che lui a Roma non riusciva a fare "il bisogno" e ritornava a posta su al paese per appartarsi in qualche luogo a lui caro e dare sfogo alla sua nostalgia. Ma non è questo l'argomento di cui voglio parlare, bensì di un argomento che in questi anni così burrascosi ha occupato il dibattito e la scena in maniera molto forte: la giustizia! Tutti noi sappiamo come funziona e come ha funzionato in questi anni, si è avuta l'impressione di una gestione complessiva in linea con le caste e gli imbroglioni che ci hanno circondato e ci circondano. Ma "Sfilatino" cosa c'entra con tutto questo? Negli anni sessanta e settanta non si parlava di certo di uso politico della giustizia o di giudici variamente colorati politicamente a seconda delle convenienze, ma io ricordo molto bene la vicenda in cui incappò il povero Sfilatino e che fu motivo di discussione e anche divertimento in quei tempi. Sfilatino faceva il giornalaio alla stazione Termini e un giorno un ladruncolo gli rubò un libro (già di per se il tipo di furto fa pensare alla dimensione dell'evento) e un solerte poliziotto prese il ladro. Ci fu la denuncia e partì l'iter che per il povero nostro paesano si trasformò in una specie di incubo con convocazioni in tribunale, giornate perse, file e malintesi .Finché un giorno ci fu l'udienza e il giudice rimproverò duramente sfilatino che essendosi distratto era arrivato un po' in ritardo. E lui si difese: signor giudice mi sa che vi siete sbagliati, io non ho fatto niente, sono solo stato derubato! E giù un altro rimprovero per il poveruomo. E allora giunse alla conclusione che se qualcuno gli avesse rubato qualcosa gli avrebbe pagato anche da bere affinché non si facesse prendere e denunciare. A meno che, diceva a modo suo, non riformino la giustizia. Sfilatino non ha potuto ricordarlo credo che la speranza che possiamo ricordarlo noi è molto flebile.
Febbraio 2011

Il coraggio di Agostino
Quando mi accingo a parlare di persone in generale e di quelle di Aringo in particolare ho sempre qualche timore di andare a toccare la sensibilità di qualcuno, perché magari il mio punto di vista sicuramente non collima con quello di altre persone legate al personaggio in questione. Ma io per mia indole personale delle cose del passato e dei ricordi in genere cerco sempre di estrapolare delle cose positive. Ma nella piccola storia che vado a raccontare non c'è assolutamente nulla da temere, anzi parlando giorni fa con il figlio di questo personaggio, il mio amico Virgilio, e ricordando brevemente quella vicenda mi è sembrato doveroso ricordare il coraggio di Agostino. Non vi aspettate chissà quale avventura straordinaria potesse accadere nel nostro paese circa sessanta anni fa, però da bambini quando i grandi parlavano di Agostino in noi c'era sempre meraviglia e ammirazione. Agostino come tanti in quel tempo andava con il suo fedele somaro a "repià na sometta de legna" e mentre caricava "lu mastu" improvvisamente sotto "nu cioccu de cerru" spuntò la tanto temuta testa della vipera che con mossa velocissima morse la mano del pover'uomo. Probabilmente lui non era stato molto attento e non aveva usato tutte le precauzioni che anche a noi hanno insegnato e cioè che sotto un legno o un sasso bisogna sempre essere attenti e spostarlo con un attrezzo o con gli scarponi. Fatto sta che Agostino si trovò da solo nel bosco e lontano dal paese e anche dalla tecnologia che oggi avrebbe fatto giungere l'elicottero in pochi minuti. Però lui non si perse d'animo e siccome da sempre quando si andava in campagna "l'accetta" non si lasciava mai, Agostino con la prima accettata taglio la testa alla vipera e poi con il coraggio che forse solo loro avevano rivolse l'arnese sulla sua mano e recise il dito morsicato. Quella mano con quattro dita era in paese l'emblema e il monito che c'è in agguato sempre qualcosa e qualcuno pronti a farci del male e che quel pericolo può spuntare in qualsiasi momento e soprattutto quando meno te l'aspetti. E allora portiamo sempre con noi "l'accetta" e cerchiamo di stare attenti a dove mettiamo le mani , ma siccome siamo circondati da vipere, nascoste da tutte le parti, se veniamo azzannati , tagliamo la testa al serpente come fece il buon Agostino, ma poi come anche lui fece per ammettere un piccolo errore tagliamo anche la nostra parte contaminata.
Ottobre 2014

Quella P finale
Ora che va ad iniziare il nuovo anno tutti noi come sempre speriamo che possa essere un po' meglio del precedente, che si porti via la mala sorte e la malattia (come cantava De Gregori) e tutte le altre brutture che abbiamo visto nella nostra malandata Italia. Anche da qui ad Aringo, dove sembra che certe cose ci riguardino poco in quanto lontani dalla cosi detta civiltà, mi viene un moto di sdegno e di riprovazione nell'assistere alla formulazione di certe sentenze contro i potenti, al solito balletto della politica, all'annuncio entusiastico dei giornalisti (o ciechi e sordi o ben pagati) che una multinazionale australiana verrebbe a Milano a costruire l'ennesimo centro commerciale creando chissà quale sviluppo economico, e altre mille nefandezze contro i più deboli , ma soprattutto l'inizio dei crolli dei balconi delle tanto decantate case dell'Aquila. Quelle stesse case costate l'ira di Dio a tutti i cittadini italiani e cioè almeno tre volte il costo di una casa fatta con tutti i criteri. Giustamente quelle case fatte in fretta e furia qualche piccolo difetto lo possono avere e allora la grande furbizia all'italiana ha pensato bene di mettere un nome appropriato, anzi una sigla appropriata e li ha chiamati "MAP", come ha chiamato "MUSP" le nuove scuole ecc. Se si nota bene quella "P" finale che significa provvisorio è veramente un toccasana in quanto se un modulo abitativo è provvisorio può cadere da un momento all'altro. L'unica cosa che il costo non era affatto per qualcosa di provvisorio. Paradossalmente questa vicenda mi ha fatto subito tornare alla mente una storia che si raccontava ad Aringo e che fotografa abbastanza bene questa situazione. In pratica non ci inventiamo nulla noi "moderni" e questa storiella di due compari di tanti anni fa capire come cambiano i tempi e le risorse a disposizione ma gli uomini e soprattutto gli italiani non cambiano mai. Allora un buon uomo si stava facendo costruire un forno dal compare muratore e si raccomandava che il lavoro fosse ben fatto. Il muratore rassicurava l'amico e finito il lavoro si fece pagare immediatamente e si allontanò. Aveva fatto qualche centinaia di metri che il forno crollò e il compare trafelato lo richiamò protestando vivacemente. il muratore con molta pacatezza e non perdendosi assolutamente d'animo rispose al compare: "compà ma che pensavi che lu furnu durea sempre?" insomma quel concetto di provvisorio è una eredità che costudiamo molto bene.
Novembre 2014

Un autunno avaro
Quando si proviene dalla cultura contadina, e soprattutto dalla cultura contadina di montagna come io mi permetto di chiamare le nostre zone con altimetria intorno ai mille metri e a volte anche superiore, si è abituati ad accontentarsi di poco nei raccolti della nostra terra. Magari la qualità delle nostre cose penso sia fuori discussione ma certamente non siamo mai stati abituati a raccolti come nelle pianure e a livelli altimetrici molto più bassi. Però questo autunno qui ad Aringo e dintorni ci ha lasciato con l'amaro in bocca in quanto alcuni prodotti, che io reputo di assoluto valore, sono stati praticamente assenti. Voglio iniziare a parlare dei funghi porcini che per tutta la stagione hanno registrato una presenza veramente ai minimi storici compensata in parte da buona presenza dei galletti,e anche se il mio pensiero rimane che " non se fau le nozze co li fugni" quelle belle camminate nei nostri boschi alla ricerca del re dei funghi sono mancate eccome. Ma la delusione più grande ha riguardato tutto il settore della frutta, infatti sono stati rarissimi gli alberi che hanno portato a termine qualche frutto, e soprattutto delle castagne. Io chiaramente sono molto partigiano e a volte anche fazioso nel difendere le nostre cose ma il sapore delle nostre castagne penso sia veramente imbattibile. Quest'anno riusciremo a stento ad assaggiarle perché è stato veramente un miracolo trovare una pianta che si è salvata dal disastro di questa pessima stagione. I castagneti italiani già da qualche anno erano stati attaccati dalla malattia importata dalla Cina (la nostra bravura nell'importare tutto il peggio del mondo non ha limiti!) e già quello aveva ridotto un po' dappertutto la produzione, ma quest'anno si è toccato il fondo in quanto sono intervenute altre malattie che hanno azzerato la produzione. Sappiamo che in molte zone sia le olive che anche l'uva hanno subito più o meno la stessa situazione quindi la povera agricoltura italiana già massacrata da una cieca politica esterofila ha subito un altro colpo mortale. In fondo noi ad Aringo per quest'anno faremo a meno delle castagne, delle noci, delle mele e anche dei funghi ," buoni da seccare e buoni da mangiare e farci il sugo quando viene Natale come diceva De Gregori" e affrontiamo lo stesso l'inverno con la speranza di sempre, che dopo una brutta stagione deve arrivarne di sicuro una più bella.
Dicembre 2014

Il gambero
Da quando si è iniziato ha camminare un po' all'indietro, nella nostra società e nel nostro mondo fatto di illusioni, mi è ritornato alla mente un animaletto che popolava i nostri fiumi e ruscelli. Adesso tutti parlano del gambero e del camminare all'incontrario come se fosse una cosa vista e rivista, ma è solo una similitudine immaginaria perché sfido (tranne quelli con una certa età) a sapere che cos'è un gambero in quanto sono più di quarant'anni che quella specie è scomparsa dai nostri corsi d'acqua. Si conoscono certamente i gamberi di mare, i gamberoni ecc. che troviamo nelle pescherie, congelati o già cotti nei ristoranti come piatto molto prelibato. Quei gamberi nostrani con quel sapore e quel colore penso sia molto difficile da imitare. Ci sono alcuni allevamenti in zona che un pochino fanno ricordare il piccolo gambero di fiume ma è assai lontano da quello che io da adolescente ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere. Certo se ripenso a quelle serate in cui i più grandi si organizzavano per andare a prendere i gamberi nel fiume con le lampadine tascabili, con grande circospezione come se si stesse compiendo un'impresa difficile e non certo lecita. Noi più piccoli stavamo nelle retrovie e ci sentivamo complici di un qualcosa che sinceramente non capivamo. Poi si faceva una cena con tutti i partecipanti tranne i ragazzini e si andava fieri di quell'impresa notturna, che come tutte le cose vietate, da sempre una forte dose di adrenalina. Ricordo appena un paio di quelle uscite, erano i primi anni settanta, poi più è andato avanti il progresso più sono spariti i gamberi di fiume, ma non perché si andava a prenderli ma per gli scarichi pieni di veleni che cominciavano ad invadere i nostri piccoli corsi d'acqua. Quelle bestiole così delicate erano un termometro fondamentale per la pulizia delle acque e per la possibilità di sopravvivere nell'ambiente naturale. I danni fatti negli ultimi quarant'anni non potevano assolutamente permettere la vita alle specie più delicate e hanno intaccato fortemente anche le altre e anche l'uomo. Chissà che con il camminare un po' all'indietro non si possa invertire anche questa brutta tendenza e non si comincino a rivedere anche i gamberi nei corsi d'acqua di Aringo.
Gennaio 2015

Colazione dalle sette alle nove
E' un bel po' di tempo che ho quasi il rifiuto di ascoltare quello che dicono le televisioni e leggo poco anche i giornali. Mi sono accorto con colpevole ritardo che l'informazione, quella dove girano i soldi tanto per capirci, è tutta legata mani e piedi ai poteri politici e soprattutto economici, e quindi ci dicono quello che a loro fa comodo e io credo a poco o niente di ciò che giornalmente ci propinano. Però una notizia che ho sentito l'altro giorno e cioè che quattro milioni di Italiani durante questo inverno sono andati o andranno in settimana bianca (speriamo che sia vera!) mi ha rallegrato e mi ha fatto ricordare una storiella di alcuni anni fa. Si perché un gruppo di baldi aringari un po' di tempo fa partirono per questa avventura insieme a degli amici di Roma, che avevano organizzato il tutto. Chiaramente i paesani erano inesperti di settimane bianche, anche se mamma mia diceva ironicamente che lei ne aveva passate di settimane "bianche" in mezzo alla nostra neve che purtroppo crea solo disagi. In ogni caso con il solito spirito di adattamento e la voglia di divertirsi si arrivò nella mitica Val Gardena e si prese conoscenza dell'albergo dove chiaramente i nostri aringari non è che fossero andati spesso. Comunque ci fu nella prima serata la massima informazione su tutto quello che si sarebbe fatto il giorno dopo da parte del capo comitiva con tutte le raccomandazioni del caso ad iniziare dalla colazione dalle sette alle nove. Un paio dei nostri paesani presi un po' dall'euforia e un po' dalla situazione non abituale dormirono poco e alle sette in punto si presentarono al buffet della colazione dove c'era ogni ben di Dio. L'addetto rimase stupito dalla puntualità e vide più volte i due fare il giro del tavolo per prendere ancora cose da mangiare. Quando più tardi si incontrarono con il capo comitiva questi chiese loro come fosse andata la colazione e i due baldi aringari con mestizia e rassegnazione spiegarono che la cosa era andata male e che forse sarebbero ripartiti subito perché loro avevano provato a mangiare dalle sette ma alle otto e trentacinque non ce la fecero più e quindi avevano disatteso la prima indicazione della colazione dalle sette fino alle nove. Il malcapitato organizzatore preso alla sprovvista non sapeva se i due scherzavano oppure fossero davvero così imbranati, comunque fu quella la prima di una serie di risate sane, e io le chiamo di paese, che allietarono quella settimana. E nacque così la storia che ancora oggi gira ad Aringo della colazione dalle sette alle nove.
Febbraio 2015

Quando c'era la scuola
Io sono stato tra gli ultimi a frequentare la scuola di Aringo ma sono stato tra i primi ad inaugurare l'edificio costruito nei primi anni sessanta che era una vera e propria scuola. Prima si andava in qualche casa del paese che aveva una stanza da prestare a un servizio scolastico molto approssimativo dal punto di vista organizzativo. Erano i tempi in cui gli alunni dovevano portare "lu pezzarellu" per scaldarsi e dove si finiva spesso con il granturco sotto le ginocchia, dove in pratica frequentare la scuola era un vero e proprio banco di prova per avviarsi a diventare uomini e donne. Spesso si prendevano dal maestro (con la società maschilista di quei tempi era raro che ci fosse una maestra nelle nostre scuole) bacchettate sulle mani, schiaffoni sonori ed io ricordo un maestro che aveva un anello molto vistoso al dito e con quello affibbiava delle "carocchie" (così lui le chiamava) in testa che erano un vero attentato all'incolumità. Insomma a quei tempi se non eri uno studente modello la scuola poteva diventare una tortura. Più volte si dibatte se la scuola di oggi è migliore di quella di una volta e i pareri rimangono discordanti. Certo quella scuola autoritaria e a volte violenta non è da rimpiangere assolutamente ma adesso si è passati come è solito in Italia da un estremo all'altro. Prima erano gli alunni ad avere timore in classe, forse adesso in alcuni casi sono i docenti a non essere proprio tranquilli. In ogni caso spesso mi soffermo a ricordare la mia pluriclasse di Aringo e rivedo spesso i compagni e il ricordo di quei tempi mi fa fare una riflessione che è molto consona con l'andamento delle cose nel mondo odierno. Tutti noi appena finito l'orario scolastico (alcuni addirittura uscivano anche un po' prima) avevano altri compiti da fare nell'aiutare la famiglia andando a pascolare pecore, vacche e fare tutti i mestieri possibili e immaginabili dell'epoca. E quella io la chiamo la scuola della vita che ha temprato intere generazioni di ragazzi e ragazze che poi hanno permesso all'Italia di diventare un grande paese. Dai nostri paesi, anche dai più piccoli, sono partiti degli adolescenti con una corteccia d'acciaio,forgiati da quella scuola di vita,pronti a conquistare il mondo. Avevano una forza fisica ma soprattutto morale per affrontare qualsiasi difficoltà. Ora dovrei parlare della scuola di adesso e dei giovani che noi abbiamo creato. Tanta comunicazione, tanta conoscenza di nozioni, alcune eccellenze che vanno all'estero a trovare fortuna, ancora purtroppo tanti figli di, ma la massa se avesse potuto frequentare quella scuola di Aringo mattina e (soprattutto) pomeriggio, avrebbe sicuramente meno paura del futuro.
Marzo 2015

Sei anni dopo
Non mi piace assolutamente ricordare le cose spiacevoli, soprattutto quelle più brutte che segnano addirittura la vita delle persone in maniera indelebile, però quando si avvicina il sei Aprile non si può fare a meno di andare con la memoria a quella notte. Quello che successe ognuno di noi lo ha impresso nella memoria e difficilmente lo dimenticherà, sarà un ricordo e un incubo che ci accompagnerà per tutta la nostra vita. Mi ricordo che all'indomani dell'evento scrissi alcune cose, spinto da un qualcosa che mi faceva andare molto controcorrente rispetto alle sensazioni del momento, in cui auspicavo una pronta ripresa e una gestione delle risorse per ricostruire seria e consona al dramma che era avvenuto. Una cosa che pensavo allora e che ho sempre pensato è che il terremoto si combatte solo ed esclusivamente quando si costruisce, purtroppo sto vedendo costruzioni più alte di prima e fatte con criteri non proprio condivisibili e al lavoro non vedo assolutamente i nostri artigiani che avevano una vita di esperienza, ma molta improvvisazione. Molto bene la fiaccolata e i trecentonove rintocchi nel ricordo di coloro che hanno pagato con la propria vita, però dobbiamo fare qualcosa in più perché la nostra città torni a vivere. Finora si è visto solo l'assalto alla diligenza dei fondi per la ricostruzione, noi dal nostro osservatorio di Aringo ne abbiamo viste di cotte e di crude. Lo smembramento dell'Aquila in molteplici piccoli satelliti a mio parere non è stata la soluzione migliore, si deve provare a rimettere in piedi la vecchia città, credo non sarà molto facile. Quest'anno il sei Aprile è capitato il giorno di Pasquetta, con un tempo inclemente, ma fortunatamente ad Aringo in molti sono tornati a respirare una boccata d'aria paesana (per la verità molto fredda) e il paese è tornato per tre o quattro giorni a vivere. Ho rivisto con piacere i vecchi amici e con loro si è cominciato a dare uno sguardo ai problemi lasciati dall'inverno e provare a rimetterci in moto per risolverne qualcuno. La cosa che mi da forza e speranza è che gli amici che stanno a Roma hanno sempre grandi iniziative ed entusiasmo da riversare nel nostro paese e di questo li ringrazio perché soprattutto in prossimità del sei Aprile ne abbiamo veramente bisogno.
Aprile 2015

Trenta aringari sul barcone
Quando sentivo parlare di questa storia dagli anziani del paese sinceramente non gli ho mai dato un peso o una importanza in quanto , è quasi sempre così, se le cose sono lontane o non ne conosci il significato le tratti con leggerezza e distacco. La storia è quella, e spero di non andare troppo lontano dalla realtà, di trenta ragazzi di Aringo che agli inizi del secolo scorso, spinti da una situazione economica e sociale disastrosa decisero di andare in America. Immagino a quel tempo in un piccolo paese che però era molto popolato, veder partire tutta la gioventù che sensazione potesse creare e immagino anche la disperazione che poteva spingere quei ragazzi ad andare a cercare l'America. Si ad Aringo quella frase andare a cercare l'America ancora oggi viene usata. Cosa da non sottovalutare e da tenere in grande attenzione è che in quei tempi partivano soltanto coloro che erano forti, gli altri restavano a casa dove potevano avere una protezione maggiore. Sinceramente non so molti dettagli di quei viaggi delle navi o di quello che poi succedeva, qualcuno mi ha parlato solo di quarantena e di mani spaccate dalla fatica. Per quanto riguarda il viaggio mi è venuta alla mente la frase di De Gregori "la prima classe costa mille lire, la seconda cento e la terza dolore e spavento" che penso riguardasse gli emigranti di allora. Qualche giorno fa parlavo con alcune persone di questi drammi odierni di chi va ancora "cercando l'America" e mi sono venuti i brividi nel sentire che se quei barconi vanno in fondo al mare è una cosa quasi giusta e che una buona percentuale di Italiani la pensa così. Certo gli aringari non portarono con loro donne e bambini, questi scappano in massa da situazioni di disastro e se potessimo guardarli in faccia forse un po' assomigliano a quei trenta intrepidi. Capisco che questo è un argomento molto duro da affrontare, si può cadere facilmente nella retorica del buonismo o essere cinici e pensare che abbiamo tanti problemi noi che non è possibile caricarsi tutti i guai del mondo. E' un problema serio e di non certo facile soluzione, a volte penso che se fosse affondato il barcone dove salirono i nostri trenta forse molti di noi non starebbero qui. Certo il mondo cambia, gira in maniera volte scomposta ma il problema è che purtroppo c'è sempre qualcuno che deve necessariamente salire su un barcone a "cercare l'America".
Maggio 2015

"Do so iti quilli tempi"
Qualche giorno fa mentre si parlava con degli amici del più e del meno, uno se ne è uscito con quella frase che io avevo sentito spesso nel tempo passato e pensavo che fosse stata messa nel dimenticatoio. Nonna la diceva spesso a noi come monito quando facevamo qualcosa che a lei non quadrava si arrabbiava e ci urlava: do so iti quilli tempi. Sinceramente io non capivo il significato di quella frase e a volte rispondevo pure in malo modo perché il rimpiangere quei tempi passati che tutti dicevano essere più brutti di quelli presenti mi sembrava una bestemmia. Invece l'altro giorno, come dicevo, nel pieno della discussione sulla situazione attuale che come vediamo giornalmente non è delle migliori, quella frase mi ha colpito e mi sono detto tra me e me che forse nonna, come al solito aveva ragione. Tutto questo progresso sbandierato ai quattro venti, tutta questa tecnologia, tutta questa comunicazione, tutte queste illusioni e dall'altra faccia della medaglia ci faranno mangiare il formaggio fatto con qualche polvere misteriosa, né sappiamo se il pane si continuerà a fare ancora con la farina. Per quanto riguarda il vino pure nonna diceva "a quilli tempi" che si poteva fare anche con l'uva. Solo alcune cose non cambiano mai infatti in quasi tutte le fasi storiche, per esempio, gli strozzini (gli amici romani li chiamano cravattari) ci stanno sempre, pure ad Aringo e nei paesi simili c'era questa figura inquietante. Magari d'inverno se ti trovavi in difficoltà ti prestavano una "coppa" di grano o una "astarella di patate e ti tenevano in scacco per tutta la stagione successiva, però alla fine era pure un modo umanitario di soccorso che aveva anche un ottimo rapporto umano. Adesso "i cravattai" non si conoscono, stanno ben nascosti, parlano altre lingue, nessuno sa dove vivono, ti prestano i tuoi soldi e ti portano "pe capezza" dove vogliono loro. Tutto questo lo fanno con intere nazioni e con interi popoli. E ti dicono: non ti preoccupare se hai un grosso debito perché (molto ingenuamente lo diceva anche la pora nonna) tutti ti pregano la salute. Ma purtroppo non è così come dicono questi scienziati dell'economia che ci hanno invitato da sempre a consumare di più e a sproposito tanto poi qualcuno pagherà. Nonna diceva tante cose ma una la ribadiva più e più volte: guarda come fa la formica e lascia perde il canto della cicala, metti una mollichella vicino all'altra perché l'inverno è lungo e freddo. Non gli abbiamo dato retta e allora dico con rammarico "do è ita nonna e do so iti quilli tempi".
Luglio 2015

Sorprese d'estate
Anche questa estate caldissima è passata e come al solito Aringo si è riempito di persone che vogliono bene a questo borgo. Mi è parso che ci sia stato un movimento in crescita rispetto all'anno scorso e quindi possiamo essere contenti tutti quelli che hanno a cuore il nostro paese. Tra le varie iniziative, una mi ha veramente fatto piacere perché ha riguardato i bambini e il campo di calcio. Tutti vogliamo bene ai bambini, alcuni di noi vogliono bene al calcio, quello vero fatto senza soldi e interessi, e quindi non possiamo che ringraziare alcune persone che si sono dedicate con grande passione alla prima edizione "stracalciando Aringo 2015". Inizierei da Roberto Partenza che si è fatto carico con un lavoro veramente oneroso, oltre alla cura del nostro bellissimo parco giochi, anche del campo di calcio ottenendo un manto erboso molto bello, poi l'ideatore della manifestazione Danilo Ciogli e il collaboratore Gianni Di Maddalena. L'iniziativa si prefiggeva di aggregare bambini dai quattro ai quattordici anni al fine di sviluppare l'unione di attività ludico-sportive e soprattutto socializzazione e insegnamento dei valori dello sport ritornando ai principi Decudìbertiani oggi messi colpevolmente da parte. Rivedere il nostro campo pieno di una quarantina di bambini,non solo di Aringo ma anche di altre frazioni, è stato veramente emozionante e quelle corse, quell'allegria, quei colori sull'erba ci hanno fatto ritornare all'entusiasmo di quando fu costruito il campo e per noi ragazzi era un sogno che si avverava. Con l'aiuto di qualche sponsor e una piccola quota di iscrizione è stato dato ai bambini un kit (maglia pantaloncini pallone e zainetto) e anche un'estate di impegno sportivo e divertimento staccandoli un po' dai malefici giochi virtuali che purtroppo occupano molto del loro tempo. Tutto è pronto per la seconda edizione con la speranza che sia ancora più bella, comunque grazie di cuore agli organizzatori. Poi non posso non soffermarmi su un avvenimento molto importante come il rinnovo del consiglio di amministrazione dell'Aringo Club con l'elezione di Mauro Scarpellini presidente, Dario Tudini vicepresidente, Rosy Aiello tesoriere, Fabio Di Gianfrancesco segretario e Luigi Franti, Danilo Ciogli, Fabiana Badei consiglieri. Per quanto riguarda i revisori abbiamo Andrea Mariani presidente e Mario Polidori e Roberto D'Amico consiglieri. Mi sembra doveroso ringraziare il presidente uscente Fabio D'Amico e tutti i consiglieri per l'ottimo lavoro ultradecennale con risultati di cui spesso qui abbiamo parlato e fare un caloroso in bocca al lupo al nuovo consiglio perché si possano raggiungere altri ambiziosi traguardi. Una cosa è certa non mancherà la collaborazione di tanti aringari che vogliono bene ad Aringo.
Settembre 2015

A dormì co nonna
Quante volte la nomino la "pora nonna" che penso si sia abbastanza stufata di essere tirata in ballo, ma questa espressione dell'andare a dormire con nonna era una battuta molto simpatica che si usava ad Aringo in altri tempi. Erano i tempi in cui in Italia e anche ad Aringo nascevano tanti bambini e la popolazione tendeva ad essere molto giovane, ora purtroppo si va in direzione opposta e come sappiamo tutti la nascita di un bambino è un evento molto eccezionale. Comunque ricordo molto bene quella volta che un personaggio del paese stava per diventare nonno e gli furono fatti gli auguri, lui non si scompose affatto e molto ironicamente rispose che quella cosa gli faceva molto piacere, perché aveva molti lati positivi uno dei quali era quello di farlo ritornare bambino. Allo stupore dell'altro gli disse che siccome lui da bambino aveva per molto tempo dormito con sua nonna , ora avrebbe ricominciato a farlo di nuovo. Certamente questa battuta non piacque a sua moglie che gli portò il broncio per molto tempo. A dire il vero io questa storiella l'ho fatta un po' mia e spesso quando c'è l'occasione che qualche amico raggiunge il bel traguardo di avere un nipotino, gli ripropongo questa battuta dell'andare "a dormì co nonna" che alcuni ci mettono un po' a capire, ma poi ci scappa sempre una risata. Chi mi conosce sa che un mio grande difetto è quello di assimilare le cose che accadono in un piccolo paese alle cose che poi governano la storia e le sorti del mondo in generale. Molte volte probabilmente non ci azzecco ma qualche volta si. In ogni caso una considerazione su questo argomento che è di attualità per una generazione un po' datata (come dicono quelli di un certo lignaggio sociale) la possiamo fare. Una volta c'era un nonno e dieci nipotini, ora c'è un nipotino e dieci nonni. Questo fa parte sempre di quella visione del mondo che io ho da tempo e cioè di una situazione un pochino sottosopra, soprattutto per i popoli cosi detti "evoluti" che pensano a tutto meno che a una cosa fondamentale, che se non si fanno figli tutto quel bagaglio (a dir la verità molto poco ci è rimasto) che dovremmo trasmettere a qualcuno ce lo portiamo tragicamente nella tomba. Io nel mio piccolo coltivo una piccola speranza (nessuno lo dica a mia moglie) ma che nel futuro mi ritocchi di andare "a dormì co nonna" non mi dispiace affatto.
Ottobre 2015

"La panonta"
Quando finisce un anno, come sempre, si cerca di fare un bilancio di tutto quello che è accaduto, di tutte le cose che ricordiamo con piacere e di tutte quelle cose che purtroppo vorremmo cancellare. Non riesco mai ad avere la lucidità per fare una scelta sulla cosa più clamorosa che ci può far annotare con piacere il 2015 come anno da ricordare. Noi , come al solito, qui ad Aringo abbiamo un angolo di valutazione molto ristretto per poter argomentare su quale sia il vero terrorismo e sulla sua grave brutalità, se siano da piangere di più i morti di Parigi o quelli della Siria o dell'America o dell'Africa o di qualsiasi parte del mondo dove si perpetra la violenza e l'odio. E il povero papa Francesco che predica dei valori che sono imprescindibili per qualsiasi religione e qualsiasi società civile e invece è circondato da una serie di sciacalli vestiti con saio e tonaca che a volte nel sentire certe cose viene da rabbrividire. Ma scusate l'argomento che volevo trattare è di tutt'altro genere e che di questi tempi dalle nostre parti ti riconcilia con il buon umore (purtroppo non con il colesterolo!) ed è la panonta o palonta il termine giusto non so quale sia. Quello che so di sicuro è che per dimenticare i o accantonare tutte le nefandezze e le sciagure che ci sfiorano e ci circondano e che qualche volta ci colpiscono pure l'unico metodo che conosco è quello di rifugiarsi nelle piccole grandi cose di una volta. Come già detto una di queste è la panonta, un pasto semplice e vigoroso dal profumo e dal sapore nostrano che è impossibile esportare altrove, va mangiata quando fa freddo e magari "bufa" e ci vuole il camino e il prodotto dei nostri maiali e non certo quello dei centri commerciali. "fuori fa freddo e tira la bufera e mamma me la fa la colazione, npezzu e ventresca e na sargiccia nera abbrusulita npunta de spidone, poi mi chiama e mi dice eccola è pronta la saporita e rustica panonta". Questo è uno spezzone di poesia che girava per le nostre montagne quando sopravvivere era difficile ma non impossibile, quando bastava poco per avere la forza di combattere. Quando una panonta e un buon bicchiere di vino alzavano la temperatura del pianeta, senza inquinamento o emissioni più o meno dannose, che oggi invece ci ossessionano la vita. In ogni caso se andiamo a dire in giro che mangiamo questi cibi, qui ad Aringo e dintorni, quelli che hanno studiato si affretteranno a dire che fanno malissimo. A noi non ci interessa, preferiamo farci male con la panonta nostra e non" campare cent'anni" con le porcherie che fanno arrivare da tutto il mondo. La globalizzazione come detto più volte ci sta facendo dimenticare tutta la nostra storia e la nostra cultura, noi all'Aringo almeno qualcosa proviamo a salvarla. Infine non posso esimermi dal salutare con piacere le iniziative del nuovo consiglio dell'Aringo Club.
Dicembre 2015

La pensione
Alcuni di noi sono cresciuti con la colonna sonora di cantautori che negli anni sessanta e settanta hanno sfornato moltissime canzoni che ancora oggi, come tutte le cose che hanno a che fare con l'arte, sono di strettissima attualità. Mi ricordo tra le altre una canzone di Francesco Guccini che faceva più o meno così: "mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante" e questa frase all'epoca non suscitava in me grande entusiasmo in quanto da adolescenti o da ragazzotti non si ha la percezione di cosa volesse dire veramente quella frase. Poi nel tempo, pian piano che si cresce, ci si accorge di tutte quelle cose belle o brutte che succedono e infine oggi ci ritroviamo nella situazione che conosciamo soprattutto per la gestione scellerata della questione pensione. Mi ricordo che ad Aringo e dintorni, ma purtroppo in tutta Italia, tutte le persone che avevano superato i quarantacinque anni supportati da scelte politiche clientelari facevano la domanda di pensione per invalidità e a seconda delle conoscenze e della parte politica riuscivano ad ottenerla. Tutto questo ha generato un rilassamento e la corsa a un reddito sicuro con poca fatica e quindi lo sfaldamento economico delle nostre zone e di tutte le zone interne italiane. Non la causa principale ma una delle più importanti. In tutto questo devo rimarcare un episodio successo ad Aringo in quel periodo quando, come dicevo prima, tanti andavano alle visite mediche per l'invalidità e un personaggio del paese, anche lui preso dalla corsa alla facile pensione,dopo aver sostenuto la visita si rivolse al medico con l'orgoglio paesano con una frase che è passata alla storia in paese: "dottò, se tu me la dà la pensione i me la pijo, ma recordete che stengo in perfetta salute". Questa frase così ingenua e spontanea fa capire quale fosse il clima del tempo, diventi un invalido e poi mi voti all'elezioni in stile perfettamente italiano. Adesso invece che sono stati fatti danni irreparabili e in pensione ,forse, si andrà a 67 anni e oltre i nostri bravi politicanti fanno da scudo a tutte le nefandezze fatte con il fatidico motto: "diritti acquisiti". Io ho fatto una autocritica verso pensioni piccole date anche ingiustamente a povera gente, ma quelle erano fatte apposta per rendere tutti complici e loro costruirsi pensioni e stipendi d'oro così siamo tutti ladri chi prende quattrocento e chi trenta-quarantamila euro e oltre. Certamente il nostro personaggio aringaro che adesso non c'è più se avesse visto come stanno andando le cose quella frase probabilmente non l'avrebbe mai detta e la pensione se la sarebbe presa pure lui.
Gennaio 2016

Le nozze co li fugni
Negli ultimi tempi mi sembra di vivere un sogno nel sentire e nel vedere certe cose che contrastano fortemente con la realtà. Si parla in maniera ossessiva dei matrimoni, della famiglia e di tanti problemi e aspetti sociali ora che i matrimoni e le famiglie direi che sono un po' come le mosche bianche. Nei bei tempi passati qui ad Aringo e nei paesi vicini si celebravano tanti matrimoni ed erano degli appuntamenti molto importanti e se parlava per molto tempo. Si facevano delle feste molto belle dove partecipavano tutti i paesani, si dimenticavano per un giorno tutte le beghe e i problemi che anche nei nostri piccoli paesi c'erano. Per quanto riguarda le famiglie, questo è un discorso molto complicato in quanto non possiamo dire che non ci fossero problemi allora, però nonostante tutto, quei valori erano fortemente sentiti da tutti e anche se a volte era l'ipocrisia che la faceva da padrona, si cercava in ogni maniera di tenere unite le persone che componevano un nucleo familiare. Adesso il mondo è totalmente cambiato, non voglio e non posso giudicare se in meglio o in peggio, abbiamo una gamma di cosiddette famiglie dove troviamo le situazioni più disparate con coppie non sposate, famiglie allargate, coppie di fatto e altre situazioni che non mi dilungo a elencare. Negli ultimi anni con grandi difficoltà sono uscite allo scoperto anche le coppie omosessuali e questo ha creato e crea uno scontro ideologico e culturale sfruttato anche politicamente da gente che della famiglia non è che abbia tanta considerazione. Si scende in piazza nell'uno e nell'altro fronte e c'è un fortissimo scontro in parlamento per varare una legge che può piacere o no. Però anche qui ad Aringo si diceva che quando puoi dare un diritto a qualcuno senza ledere i diritti degli altri si compie un'opera di democrazia. L'unico grande rischio, ritornando alla cultura un pochino grezza e semplice dei nostri paesi, è quello di fare "le nozze co li fugni" che una cosa che una volta si cercava di scongiurare assolutamente. Questa metafora così graffiante stava significare che per fare un matrimonio ci voleva e ci vuole molta sostanza e non superficialità, soprattutto quando ci sono di mezzo dei bambini. In questo mondo che io vedo un po' sottosopra, c'è da raddrizzare molte cose e anche il concetto di famiglia. Poi se nel menù del pranzo del matrimonio ci mettiamo "li fugni" penso che ci possa passare sopra.
Febbraio 2016

La staccionata
Sin dai tempi dell'antichità, l'uomo ha sempre cercato di appropriarsi di un territorio e ha costruito delle protezioni intorno ad esso per non permetter che altri potessero dare un qualche fastidio o problema. Se andiamo a ritroso nella storia e nelle più antiche e importanti civiltà troviamo,partendo dalla grande muraglia cinese, che immagino sia la più grande opera di questo genere, a tutte le opere murarie in tutte le città importanti fino ad arrivare ai muretti in pietra a secco delle nostre zone che delimitavano i piccoli terreni, la volontà dell'uomo di non permettere intromissioni nel suo territorio. Anche qui ad Aringo e in tutti i paesini del circondario, ma penso un po' dovunque in giro per l'Italia e anche fuori, troviamo i resti di questi muretti fatti sicuramente con grande fatica e anche in posti molto lontani e scomodi da raggiungere. Poi nell'andare del tempo si è iniziato ad usare il legno per costruire dei divisori per non far scappare i propri animali e per non permettere a quelli degli altri di entrare. Con il legno e poi con l'avvento del filo spinato e la rete si è riusciti a costruire molto più facilmente delle staccionate. Poi con l'abbandono della terra dalle nostre parti sono cadute un po' tutte le barriere e se qualche temerario vuole coltivare un pezzo di terra è costretto sul serio a costruire una recinzione assai robusta, altrimenti tra gli animali domestici tenuti allo stato brado e quelli selvatici in continuo aumento non si raccoglierebbe niente. Ma la cosa che mi stupisce molto è che si è lottato in Europa per togliere qualsiasi tipo di barriera e con vari trattati si era arrivati alla circolazione quasi libera in tantissimi paesi, anche in questo caso la storia è durata poco e come stiamo sentendo e vedendo negli ultimi anni, con l'avvento di grandi spostamenti di popoli verso l'Europa tutti sono pronti a costruire staccionate e muri ai confini del proprio stato. Certamente alcuni stati con posizione geografica favorevole potrebbero avere un risultato positivo nel chiudersi nel proprio guscio, altri come l'Italia, la Grecia i non credo possano costruire molto visti i tantissimi chilometri di coste da proteggere. L'esperienza insegna che prima o poi tutti i muri e tutte le staccionate crollano e il Papa dice di fare ponti e non muri. Siccome il problema è molto serio vorrei stemperarlo con una storiella probabilmente leggendaria che girava ad Aringo. Si raccontava che in un paese vicino iniziò la costruzione di una grande staccionata per non far sentire le campane nuove ai paesi limitrofi. Anche in tempi non sospetti si cercava di preservare le proprie cose a dispetto di altri, l'unica cosa che non so è se quell'opera sia stata mai ultimata o è in fase di costruzione come le tante opere italiane che non si terminano mai!
Marzo 2016

La frittata di pasqua
Anche quest'anno ,nonostante tutte le problematiche che continuano a preoccuparci, nei locali dell'Aringo Club ci siamo riuniti per la colazione di Pasqua che è diventato un appuntamento molto sentito. Anche se la Pasqua è capitata molto bassa (così mi sembra che si dice quando capita di Marzo) c'è stata una buona presenza ed è stata l'occasione per incontrare gli amici di sempre. Ho passato un bel pomeriggio del sabato Santo davanti ad una bottiglia di buon vino, che io mi ostino ancora a fare come si faceva una volta, insieme a Fabio e Angela, parlando e ricordando tante e tante cose condivise nel passato e da condividere ancora nel futuro. Ma ritornando alla colazione devo dire che c'era ogni ben di Dio come al solito negli appuntamenti conviviali di Aringo. Però frequentando altre realtà limitrofe ho visto che tanti fanno per l'occasione una frittata che può comprendere diversi ingredienti. Nei miei ricordi giovanili che ormai purtroppo vanno un bel po' indietro nel tempo io ad Aringo non ho mai visto la frittata nel giorno di Pasqua, quindi sicuramente non appartiene alla nostra cultura. Noi ci siamo sempre limitati alle uova sode e al salame, benedetti in precedenza dal prete che correttamente veniva a benedire le case sempre prima della Pasqua. Ho affrontato il tema della frittata perché il fascino di un piatto in cui ognuno si può sbizzarrire come vuole è forte e possiamo tutti noi dare una ricetta che può risultare gustosissima. Quella di Pasqua ha due ingredienti fondamentali che sono la coratella di agnello e i carciofi. Poi qualcuno ci mette anche le budelline di agnello altri la salsiccia e altre cose che vanno sempre sul gusto forte. Questa tradizione va rispettata e va anche tramandata ai giovani perché rappresenta sempre un pezzo della nostra cultura contadina che non c'è più. Anche se la cultura del nostro passato dava una visione un po' negativa del concetto frittata in quanto le espressioni "hai fatto una frittata" e "non si fa la frittata senza rompere le uova" non sono propriamente positive. Forse per questo noi ad Aringo la frittata nel giorno di Pasqua non l'abbiamo mai fatta. Anche se in giro per il mondo di frittate se ne fanno tutti i giorni creando tutti quei casini che conosciamo chi ha delle tradizioni positive continui sempre a portarle avanti sperando possano sconfiggere quelli che le tradizioni le vogliono distruggere.
Aprile 2016

Le nozze d'oro
Il ventiquattro Aprile dopo tanti anni è ricaduto di domenica e una coppia di miei cari amici, Rolando e Dina, ha festeggiato la bellezza di cinquant'anni di matrimonio, che di questi tempi è una cosa veramente rara. Questi miei amici non sono di Aringo, ma è come se lo fossero perché essendo di un paese vicino io ritengo che per cultura, per origini e per tanti motivi ci possiamo sentire paesani. Innanzi tutto voglio fare, anche se in colpevole ritardo, tanti auguri alla coppia con cui ho passato e spero di passare ancora delle bellissime giornate e poi voglio raccontare una piccola storia legata al loro matrimonio e a me che al quel tempo ero ancora un bambino. Di solito io preferisco non parlare di me, a volte racconto delle cose che ho vissuto ma le trasferisco a personaggi immaginari, invece questa volta voglio dire le cose come sono realmente accadute. Non si pensi che chissà quale grande storia io possa raccontare, è soltanto un piccolo passo di vita vissuta di un periodo molto lontano dal mondo di oggi sia per il tanto tempo passato che per la diversità delle situazioni. Io a quel tempo non conoscevo sicuramente né Rolando né Dina ma quella famosa domenica de millenovecentosessantasei, io non avevo ancora dieci anni, mi toccava come sempre di andare a pascolare le nostre tre o quattro mucche anche perché mio padre quel giorno era andato a servire il pranzo di quegli sposi. Di solito di domenica se era libero ci andava lui con le vacche, ma quando gli capitava qualche lavoretto tipo un matrimonio o un banchetto mio padre andava per arrotondare le scarse risorse di quei tempi. Allora i matrimoni si facevano in casa (adesso purtroppo non si fanno più e questa cosa fa parte delle tante belle abitudini perse) e si mobilitavano in molti per cucinare servire e fare tutta la preparazione di una festa che era molto sentita e molto bella. Comunque io quel giorno lo ricordo in maniera indelebile perché ad un certo punto una vitella ,che forse per la prima volta avevo fatto uscire dalla stalla,, comincio a correre come impazzita e scappò andando ad incastrarsi in mezzo a degli spini e lì venne fuori tutto il bambino che ero e iniziai a piangere disperato fino a che non arrivò il vecchio Orlando che stava nei paraggi e riprese quella povera bestiola e mi tranquillizzò. Quando tanti anni dopo ho conosciuto Rolando e Dina e ho ricollegato le due vicende di quel ventiquattro aprile ci abbiamo riso sopra. Però adesso quando vedo un bambino di nove anni e ripenso a quei tempi mi sembra che le cose vissute allora anche dai bambini siano quasi incredibili. Allora purtroppo o per fortuna, chissà, si doveva crescere molto in fretta.
Maggio 2016

Tinte di giallo
Quando sento certe cose che succedono in giro per la nostra martoriata Italia, come tanti di noi , mi indigno fortemente. Vedere una ragazza ammazzata e poi bruciata e sentire che avrebbe chiesto aiuto e quel qualcuno che è passato non ha potuto o (purtroppo) voluto fare qualcosa mi fa rabbrividire. Una cosa del genere nei nostri paesi e anche ad Aringo per fortuna è difficile che accada, però così d'impeto, per come siamo abituati noi, sembrerebbe assurdo non soccorrere qualcuno in difficoltà. Poi però riflettendo bene mi rendo conto che la vita, nelle città soprattutto, crea delle diffidenze e delle paure verso tutto e tutti e quindi non credo si possa condannare nessuno. La cosa che poi mi fa soffrire di più è l'uso mediatico di queste vicende dove le televisioni e i giornali sembra non aspettino altro per andare a sciacallare in maniera a volte disgustosa. Comunque questo mio sfogo ha un senso in quanto ad Aringo il 4 giugno c'è stato un appuntamento veramente interessante che è molto inerente a questo tema. Il nostro paese è piccolo, ha molte difficoltà, ma tira fuori sempre grandissime risorse. Una di queste è l'amico Armando Palmegiani esperto della scena del crimine, laureato in Psicologia Clinica che nel corso della sua carriera si è occupato di moltissimi casi di cronaca, tra i quali, la bomba di via dei Georgofili nel 93 a Firenze, l'omicidio di Marta Russo, l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e tanti altri. Da ragazzo ad Aringo, insieme ad altri pezzi forti dell'epoca organizzava delle cacce al tesoro memorabili e già si intravvedevano le qualità. Ad essere sincero non immaginavo che oltre a fare una grande carriera professionale, insieme ad un giornalista investigativo Fabio Sanvitale, si metteva a scrivere dei libri su alcuni casi di crimini tra i più efferati della storia d'Italia. Dicevo che l'amico Armando ci ha fatto l'onore di presentare ad Aringo il suo ultimo lavoro dal titolo Sacro Sangue, che parla di un fatto successo , come si può immaginare dal titolo in Vaticano. Questo libro non l'ho ancora letto, ma siccome ho letto gli altri quattro vi assicuro che ho trovato dei lavori veramente ben fatti, veramente un bel mix tra il giornalista e l'esperto di crimine. Poi questi sono argomenti che ti prendono perché sono fatti accaduti realmente e fanno parte della nostra vita. E' stata una bellissima serata, dove ci siamo ritrovati in tanti amici nei locali dell'Aringo Club che ha offerto ai presenti come al solito un ottimo buffet. Un grazie di cuore ad Armando che oltre al piacere della sua presenza ha donato all'Aringo Club i proventi dei numerosi libri venduti nella serata. Ancora una volta con orgoglio posso dire che nonostante tutto Aringo si fa onore.
Giugno 2016

Non si apprezza il bene se non è perduto!
Quando si va avanti con l'età di solito si acquista saggezza e si riesce ad avere una visione della vita molto più distaccata ed equilibrata. Quando si è giovani invece si pensa il contrario e si vedono le persone più anziane come fuori tempo e a volte anche fuori luogo. Faccio queste considerazioni adesso e voglio essere onesto fino in fondo, trent'anni fa forse avrei pensato diversamente. Infatti nel tempo della gioventù e della spensieratezza e a volte anche della poca responsabilità, quando i genitori mi facevano qualche rimprovero, io come tutti allora e soprattutto anche oggi, pensavo che fosse un modo un po' scocciante ed esagerato di riprendermi. E di conseguenza a volte rispondevo in maniera sbagliata e mio padre alla fine diceva una frase che in quel momento io non capivo ma che mi sono ricordato sempre nel tempo. La frase diceva così : non si apprezza il bene se non è perduto, ma io come gli altri ragazzi di allora non avevamo certamente una mente allenata alla filosofia e alla metafora graffiante e ridevamo con leggerezza alle raccomandazioni delle persone che avevano una grande esperienza di vita. Ora quando discutiamo sulla situazione attuale, sulla grave crisi, sui problemi che incombono, devo riconoscere che la nostra generazione ha combinato dei bei casini e che le raccomandazioni degli anziani di allora erano giuste. Abbiamo creduto, un po' tutti, che le conquiste ottenute con sacrifici enormi di intere generazioni, fossero cose scontate e che sarebbero durate sempre. Invece la democrazia, la libertà, il benessere vanno conquistati giorno dopo giorno e bisogna essere sempre vigili e attenti perché a conquistare una cosa ci vuole una vita a perderla è un attimo. Io dico sempre che se qualcuno ci lascia in eredità una qualsiasi cosa, una piccola cosa o anche un grande patrimonio quelle cose hanno poco valore perché non sappiamo la fatica e il sudore che qualcuno ha fatto per ottenerla. Quando si ha la fortuna di avere i genitori che ti fanno trovare tutto pronto tutto in ordine per il figlio quello è tutto dovuto e tutto scontato, poi quel giorno che non ci sono più ti accorgi in un attimo che non era così come pensavi e la sorpresa è amarissima e allora quella frase che mio padre ripeteva spesso la fai tua e ti riempie la vita di rimorsi e di rimpianti. Ad Aringo a me è successo questo, penso che succede dappertutto così, io è già da un po' di tempo che vado ripetendo quella frase, ma mi guardano e pensano che sia diventato petulante e un po' rincitrullito come pensavo io trenta o quarant'anni fa. Purtroppo o per fortuna l'esperienze della vita non è possibile insegnarle, ognuno deve viverle in proprio e che il destino ce la mandi buona.
Luglio 2016

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